Hiromi Hoshi e il segreto disarmonico del giardino giapponese

Classe 1976, Hiromi Hoshi nasce nella prefettura di Kanegawa, non troppo lontano da Tokyo e di fronte alla distesa immensa dell’Oceano Pacifico. A vent’anni, dopo aver completato un’istruzione agraria preliminare, inizia il suo apprendistato per divenire giardiniere, dimostrando fin da subito gran talento. Cinque anni più tardi, ancora giovanissimo, è tra i membri della Garden Society del Giappone. È tempo quindi di partire e vedere il mondo. E proprio come uno degli eroi di Miyazaki arriva in Europa, in Italia. Ad accoglierlo è dapprima la calura siciliana, poi l’ottobre romano e infine l’inverno produttivo lombardo.

L’Europa diventa un trampolino di lancio fondamentale per Hiromi, che ben presto comincia a distinguersi per i suoi progetti brillanti in tutto il mondo, dall’Australia all’America. Apre alcune scuole per futuri giardinieri nella sua prefettura natale in terra nipponica e intanto, di nuovo a Roma, tiene lezioni di alta caratura intellettuale su etica ed estetica del giardino giapponese. Diviene infine presidente e CEO della Niwasho Kirishima, società con la quale elabora e realizza ad oggi i suoi progetti.

Dunque qualche settimana fa io e il signor Hiromi ci sentiamo per mail. Mi racconta d’essere oberato dagli impegni e subissato dal lavoro, ma mi promette che quanto prima avrebbe trovato il tempo per rispondere alle mie curiosità sull’arte del giardinaggio giapponese.

La promessa in pochi giorni è mantenuta, e nel suo messaggio, oltre a dimostrare una profonda conoscenza del proprio mestiere e una solida consapevolezza della propria appartenenza culturale, Hiromi si rivela anche un uomo premuroso, gentile e raffinato. In un termine solo: un saggio.

Quella che segue quindi, sì, forse è un’intervista, ma probabilmente la dovremmo pensare più come una lezione filosofica, come un dialogo platonico, in cui il discepolo domanda, è spinto a saperne sempre di più, mentre il maestro sciorina la sapiente dottrina riconciliatrice e guida il discente a farsi un uomo migliore.

In Giappone i giardini sono vere e proprie opere d’arte e specchi dell’animo. Vorrebbe raccontarmi qualcosa circa i valori morali, l’etica, che si cela dietro il giardinaggio giapponese?

Non so se un giardino giapponese possa essere un’arte perfetta.

Diversamente da altre arti, ha un budget da rispettare, un’aspettativa da parte del committente e tempi di costruzione ben stabiliti. Ci sono diversi fattori che mi fanno quindi dire che il giardiniere non sia un artista. Tuttavia, sin da tempi remoti, il popolo giapponese è stato protetto dal mare e la nostra terra non è stata invasa da altre nazioni, quindi la cultura singolare del Giappone ha avuto modo di crescere senza ostacoli. L’adorazione della natura da parte degli avi e la propensione dell’animo giapponese alla natura hanno di sicuro influenzato l’arte del giardinaggio nell’arcipelago. Un giapponese dice sempre a sé stesso: “Io voglio stare con la natura e voglio sentirla vicino”. Perciò nel periodo Heian, più di mille anni fa, l’arte del giardino giapponese aveva preso forma ed era stato realizzato il primo libro a riguardo, il Sakutei-ki (作庭記). Questo libro penetra nelle radici dell’idea giapponese del creare un giardino, e mostra come già allora il giardinaggio fosse preso in gran considerazione. Dopo mille anni, tutto ciò non è cambiato.

Ad esempio, il Giapponese preferisce ancora gli spazi asimmetrici, come dire, gli spazi dispari piuttosto che pari, spazi chiusi (non scordiamo la bellezza delle ombre) invece che aperti. Noi giapponesi preferiamo la natura all’artificio. Credo sia così ancora oggi, e il popolo del Giappone ama un bel paesaggio generato da una sottile disarmonia.

Lei è un artista incredibile e ha studiato a lungo in Giappone per diventarlo. Tuttavia ad un certo punto ha sentito l’esigenza di viaggiare e si è spinto anche fino in Italia. Quale influenza hanno avuto i diversi paesi che ha visitato?

Sì, viaggiare è stata la migliore esperienza della mia vita. Da giovane, credevo che quelli giapponesi fossero i giardini più belli del mondo, ma mi sbagliavo.

Il modo di creare un giardino è influenzato in gran parte dalla cultura, dalle regole e dallo stile di vita di ciascun paese, e ovviamente anche dalle diversità di flora. Ciò che rende un giardino bello (e non c’è ragione che lo sia) è tutt’altra faccenda. Con i miei occhi ho visto giardini bellissimi in ogni paese. Non c’era bisogno di compararli con il modo di fare giardinaggio in Giappone. Quando fui in grado d’abbandonare il mio pregiudizio, potei allora procedere a riscoprirmi.

Compresi il significato dei giardini negli altri paesi, ammisi la loro superiorità e cominciai a rispettarli per le loro meravigliose tecniche. In questo modo avevo capito di essere un giapponese, e potevo tornare ad apprezzare il Giappone in ogni aspetto della vita ordinaria, dalla cultura al vestiario. Ovviamente divenni anche un giardiniere migliore.

Colori, suoni, profumi: un giardino è sicuramente un piccolo universo, ma senza l’armonia potrebbe risultare semplicemente una massa disordinata. Qual è allora il segreto per un giardino in pieno equilibrio?

Io credo che un giardino giapponese che possa impressionare le persone debba per prima cosa rivolgersi ai loro cuori. Un elemento dei giardini giapponesi è che mentre vengono mostrati, c’è anche un margine, una risonanza, che riesce a far pensare il visitatore. Non bisogna rivelare tutto, si deve lasciare uno spazio allo scandaglio interpretativo. Un giardino giapponese non è una miniaturizzazione della natura, ma una rappresentazione astratta degli elementi che la costituiscono. Perciò penso che l’”impressione” non dovrebbe presentarsi in un giardino che è un’espressione (elemento e fenomeno psicologico nel mondo naturale) che va contro le leggi della natura.

I giardini danno a tutti la possibilità d’entrare in contatto con la natura, anche nelle città più affollate, ma cosa dovremmo fare per creare una nuova e concreta relazione tra l’umanità e gli altri esseri viventi?

Qual è il futuro del giardino giapponese e qual è il motivo della sua esistenza presso gli uomini? Dal mio punto di vista non si dovrebbe andare alla ricerca di una sconsolante “green zone”, come ad esempio la figura di una pianta forzata all’interno d’una struttura (vedi l’esempio di Singapore). Non è un’area di verde, non è un parco. È un Giardino. In ogni caso, spero che il giardinaggio preservi le tradizioni (non in senso conservativo, ma in modo tale che si adatti alla sensibilità del vivere contemporaneo, senza però cedere a mode passeggere) e esprima una forma innovativa della cultura giapponese.

Veniamo da un periodo veramente duro, ma ora è il momento di affrontare le nuove sfide della vita. Bene, quali sono i suoi prossimi progetti?

Certamente abbiamo passato un periodo complesso. Tuttavia il nostro lavoro è molto utile al giorno d’oggi. Anche se non puoi andare via di casa, puoi sentire la natura a te vicina, curare lo spirito e respirare aria fresca. Sì, il giardino è un posto dove le persone possono sentirsi a casa come accadeva già mille anni fa. Questo è anche il fascino del giardino giapponese.

In futuro vorrei insegnare in giro per il mondo il metodo e le tecniche necessarie per creare un giardino giapponese, e continuare il mio lavoro per correggere l’immagine distorta che si ha del Giappone e arrestare il processo di falsificazione dello stile del giardino giapponese. E il mio sogno più grande è quello di proporre e realizzare un giardino tutto nuovo che coniughi le tecnologie giapponesi con quel che ho imparato in Italia. Infatti quando si usano la flora e i materiali del posto non si parlerà più di giardino giapponese, ma di un giardino che rispetta il paesaggio e la topografia locale, in modo tale che gli abitanti del luogo e il territorio possano simpatizzare con esso e rimanerne estasiati. Una volta fatto ciò, vorrei provare a importare questo nuovo prototipo in Giappone.

di Gabriele Presta

© Hiromi Hoshi

© Hiromi Hoshi

© Hiromi Hoshi

© Hiromi Hoshi